Il Sole24Ore di lunedì 09 novembre 2020, riporta l’importante vittoria ottenuta in Commissione Tributaria Regionale dal partner Dott. Gabriele Baschetti.
Di seguito si riporta il testo dell’articolo (scaricabile qui) a cura dell’Avv. Fabio Pari:
La Vicenda
Nel 2010 un contribuente alienava un albergo in disuso ad una società operante nell’edilizia, per il prezzo di 1 milione di euro da pagarsi entro il 31/07/2012. Successivamente alla demolizione della struttura ed alla sua riedificazione ad uso abitativo, la società, in data 05/07/2012, alienava allo stesso contribuente e ad alcuni suoi familiari sei appartamenti e cinque garages del nuovo complesso immobiliare, sempre per la cifra complessiva di 1 milione di euro. Le rispettive posizioni creditorie venivano quindi compensate tra le parti, con la società che procedeva all’emissione delle fatture di vendita ed al versamento dell’IVA dovuta sul prezzo indicato a rogito.
La contestazione
L’Agenzia delle Entrate ha però contestato un “simulazione relativa” dello schema contrattuale adottato, riconducendo i due negozi di vendita ad un unico contratto di permuta di cosa presente con futura. Con l’istituto della permuta, ricorrente nella prassi immobiliare, solitamente il proprietario di un terreno cede un’area fabbricabile ad un costruttore, il quale, in corrispettivo del terreno, trasferisce uno o più appartamenti scelti tra quelli che verranno edificati. Questo schema negoziale, quando applicato nel settore immobiliare, porta alcuni vantaggi ai contraenti: per il costruttore, quello di completare il processo edificatorio senza esborsi e, per il proprietario dell’area, di ottenere (probabilmente) condizioni economiche di maggior favore nell’acquisto dell’immobile.
In base alla riqualificazione sopramenzionata, l’Ufficio ha ricollegato il momento impositivo ai fini IVA per la società non al momento della vendita degli appartamenti del 2012 (il secondo atto dello schema negoziale), ma a quello in cui la permuta si sarebbe realizzata, ovvero nel momento della prima stipula contrattuale (il trasferimento dell’albergo da demolire avvenuto nel 2010). Ne conseguiva il recupero dell’IVA che, nonostante dovesse essere sicuramente rimborsata dall’Erario qualora incassata, in quanto versata in egual misura nel 2012, consentiva comunque all’Ufficio di recuperare interessi e sanzioni per tardiva emissione di fatture e dichiarazione infedele.
La difesa del contribuente e la decisione della Commissione
La CTP di Rimini e la CTR dell’Emilia-Romagna hanno però accolto l’avversa tesi del contribuente, annullando l’atto impositivo. Partendo dalla ratio regolante la disciplina dell’abuso del diritto, la società ha dimostrato che la scelta dello schema giuridico della “doppia vendita” – ovvero la stipula di due negozi giuridici autonomi, seppure tra loro astrattamente collegabili, di vendita dell’immobile presente dall’originario proprietario al costruttore e di una successiva vendita dei beni futuri da quest’ultimo all’originario proprietario – ha avuto una serie di benefici per i contribuenti che rendevano residuale lo spostamento del momento impositivo dal 2010 al 2012, come contestato dall’Ufficio.
Dal punto di vista giuridico questo schema contrattuale ha infatti garantito maggiori vantaggi alle parti non solo dal punto di vista fiscale, ma anche sotto il profilo commerciale e della disciplina civilistica. Si pensi infatti al tema della circolazione soggettiva del contratto con riguardo alle problematiche interpretazioni dell’art. 1411 c.c. sulla nomina di terzi beneficiari; alla ipotecabilità del bene in costruzione per reperire fondi, pratica dubbia in caso di permuta con cosa futura; alla maggiore tutela rispetto al fallimento del costruttore, grazie alla non assoggettabilità del primo negozio alla revocatoria fallimentare ex art. 67 L.F.
Per tali ragioni, congiuntamente alla circostanza che nel secondo negozio intervenivano anche soggetti diversi rispetto al primo (i familiari), i giudici hanno deciso di accogliere le motivazioni della società ricorrente, annullando l’atto impositivo.