Da giorni domina la scena pubblica l’acceso dibattito circa la copertura vaccinale sui luoghi di lavoro. Da un lato Confindustria propone il Green pass obbligatorio per i dipendenti, pena la possibilità di spostarli ad altra mansione o sospenderli, con impatto sulla retribuzione; dall’altro le organizzazioni sindacali ed alcuni esponenti politici la considerano invece una forzatura in violazione della legge.
Successivamente all’introduzione dell’obbligo di Green pass per l’accesso e la partecipazione a gran parte delle attività pubbliche e sociali, Confindustria ha reso noto di voler proporre a governo e istituzioni un aggiornamento del protocollo per la sicurezza sui luoghi di lavoro, richiedendo l’esibizione del certificato verde anche per recarsi sul posto di lavoro, pena il ricollocamento del lavoratore sprovvisto di green pass e, ove non possibile, la sua sospensione senza retribuzione. Tesi confermata da alcuni giuristi, tra cui il giuslavorista Pietro Ichino, i quali sottolineano la possibilità (o addirittura dovere) per l’azienda di sospendere il lavoratore sprovvisto di green pass senza giustificato motivo al fine evitare di mettere a rischio la salute degli altri dipendenti. Tale soluzione poggia:
- sull’art. 2087 del Codice Civile, secondo cui l’imprenditore è obbligato ad adottare le misure necessarie ad assicurare l’integrità fisica dei dipendenti;
- sulla Direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020, la quale classifica la SARS-CoV-2 come patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3 ed estende al Covid-19 le misure di prevenzione previste nella Direttiva 2000/54/CE e dal D.Lgs. n. 81/2008 (prime fra tutte la “individuazione e valutazione dei rischi” oltre alla sorveglianza sanitaria e, nel suo ambito, le vaccinazioni).
Questo orientamento sta trovando inoltre conferme nella giurisprudenza di merito. Recente è la sentenza del Giudice del Lavoro del Tribunale di Modena (Sez. 3 Civile del 19 maggio 2021) il quale, ritenendo non sufficienti mascherina e distanziamento nell’ambito lavorativo di una RSA, ha rigettato il ricorso di alcune dipendenti che si erano viste sospendere dal lavoro per il loro rifiuto di vaccinarsi. Non è il primo pronunciamento in materia: qualche mese fa dello stesso avviso erano stati il tribunale di Belluno e quello di Verona, che avevano ribadito la sospensione di alcuni lavoratori no vax in casi «fotocopia» di quello di Modena.
Il fronte del no, guidato da CGIL e CISL, oppone all’obbligo vaccinale di esibizione del Green pass la necessità di tutelare la privacy dei lavoratori, sostenendo che senza un intervento legislativo tale diritto non può essere compresso concedendo alle aziende il totale controllo su chi entra e chi esce dalle stesse.
Al di là delle teorie e delle opposte tesi, calare il tema nella realtà di tutti i giorni diventa sicuramente più complesso. Si pensi ad esempio all’azienda che, lavorando nel settore fieristico o nella ristorazione, si trova a dover fare i conti con alcuni dipendenti che non intendono né vaccinarsi né sopportare il costo periodico (ogni 48 ore) del tampone rapido per ottenere il green pass ed accedere alle aree ove deve essere svolta la prestazione (perché accessibili a tutti solo con il certificato verde). In tali ipotesi è difficile sostenere che sia l’azienda a dover sopportare il peso della (libera) scelta del proprio collaboratore.
Il tema del green pass, già scottante di per sé, rischia di diventare rovente una volta calato nelle dinamiche aziendali, almeno fino ad un intervento risolutivo – ed auspicato – del legislatore. Nel frattempo, il suggerimento è quello di svolgere un’attenta valutazione caso per caso, analizzando la mansione esercitata dal dipendente e l’attività aziendale, confrontandosi con i professionisti di fiducia (Consulente del Lavoro e Avvocato) e con il medico addetto alla sorveglianza sanitaria ed effettuando l’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi.
Le divisioni Skema Job e Skema Legal sono a vostra disposizione per chiarimenti o consulenze specifiche sul tema.